I due antipatici vegliardi avevano comunque ostentato una inaspettata cultura botanica. Le avevano rammentato come nella cultura contadina, quella dell'innesto fosse considerata non tanto una tecnica, quanto una vera e propria arte, come ben esprimevano le parole di Archibald Culloden, autore del trattato About Grafting in Bothanic Gardens (1939), sul significato biologico dell'innesto: "L'arte è semplice, ma il mistero è grande: fondere due vite in una sola ... sembra che intercedano rapporti d'influssi e personali rispondenze nascoste d'amore e simpatia, fra le due piante che si giungono; sembra (e qui gli ortodossi forse rideranno) che ci siano mani felici, di fortunati curatori vegetali, specie per gli innesti!". Dunque, l'innesto con la tecnica toscana della marza si doveva eseguire in febbraio, asportando un rametto o una parte gemmifera dalla Chinensis Viridiflora e mettendola poi a contatto con la parte interna della corteccia dell'Helleborus Phoetidus che doveva servire da soggetto o portainnesto; la marza doveva essere presa dalle rose in una notte di plenilunio, bisognava prendere una porzione di corteccia a forma di scudo che avrebbe dovuto essere inserita sotto la corteccia dell'Helleborus in cui bisognava praticare un'incisione a C e sollevare il lembo tagliato per inserire lo scudo e poi riporre il lembo in posizione dopo l'inserimento.
Per favorire l'attecchimento, dopo l'innestatura, si sarebbero dovuti usare solo legacci di rafia somala; quindi, per evitare la penetrazione di umidità e di eventuali parassiti attraverso le ferite, si sarebbe dovuta coprire la zona dell'innesto con un apposito mastice a base di sego, cera gialla, pece, trementina e ovviamente merda. Dopo 10-15 giorni dall'esecuzione, e in seguito una volta a settimana, l'innesto avrebbe dovuto essere controllato fino allo sviluppo delle prime gemme: se fossero risultate scure e puzzolenti, a forma di piccolo scibale, sarebbe stato il segno della perfetta realizzazione delle Helleborus Phoetidus Mutans, praticamente indistinguibile dal normale Helleborus, ma contenente il principio attivo del Penta-Hydro-Merdabinolo 51, altrimenti noto come "la droga ontologica", sostanza capace di creare, separare e sovrapporre livelli di realtà e di interscambiarli tra loro, coinvolgendo negli effetti non solo chi assume la sostanza ma anche tutti coloro che, direttamente o indirettamente, interagiscono con chi la assume.
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